SEI FUORI, Antonio Ferrara

“Sei bello stronzetto non mi aiuti per niente con sto libro”, ho scritto ad Antonio, così, senza virgola.

Non ha fatto una piega.

Dunque rimango nel mio stato di frustrazione, ben rappresentato dall’immagine di copertina: buio e una luce che vedo solo da dentro al libro; poco attorno a guidare i passi, la notte e una lampada fioca, e mi tocca di andare avanti strisciano tra le righe, vedere quel che vedo e arrangiarmi.

Gli scrivo, ma allora Antonio è così? vedo bene? Non risponde.

Gli scrivo, comunque non saprei cosa dire di tutto ciò. Risponde, peggio per te.

A volte gli autori è meglio che non siano a portata di mano. Tipo questa, di volta.

Quando scrivo di un libro ho spesso una visione chiara di cosa voglio rappresentare, son certa di non voler spoilerare e mi capita spesso di non scrivere della trama e dei personaggi. Oggi procederò in modo opposto, esplorando da dentro, tra una riga e l’altra, dovrò agganciarmi a qualcosa di preciso e con ciò tirare i fili, analizzare il testo e dire con precisione quel che immagino, giusto o sbagliato che sia; e se a pagina *** c’è una parete forse lo dirò, che c’è una parete. Quindi è meglio leggere prima il libro.

Ma non leggetelo, va’.

Peggio per voi.

*

Il viaggio dentro a questo libro lo scriverò come Pollicino scriverebbe dei sassi sulla via: man mano li raccolgo.

C’è un tema innanzi tutto: la diversità e la paura della diversità. Questo tema scaturisce dall’incontro con un ragazzo che ha una malattia rara, dalla paura e diffidenza che genera, dall’inclusione o esclusione che ne derivano. Attorno a ciò possiamo osservare come lo sguardo degli altri muove i meccanismi della storia e come la storia si muove di conseguenza.

Ma “Sei fuori” è una storia più vasta, la malattia di Glauco non è al centro del palcoscenico, così lui. Questa scelta narrativa m’è parsa la più inclusiva che abbia mai visto: la malattia non ha i riflettori puntati su di sé, il personaggio principale non è Glauco, non è lui che narra in prima persona, non vediamo mai attraverso i suoi occhi.

Quello che lui muove lo vediamo dagli altri, non è Glauco che ha bisogno di ripararsi e liberarsi in questa storia. A dirla tutta, Glauco nella sua interezza m’è parso uno dei personaggi più completi in sé dentro questo romanzo. Lui e i suoi genitori.

Potremmo definire il nucleo rappresentato dalla loro famiglia un modello da cui trarre ispirazione: dati i requisiti di tutti i familiari, trova il modo di crescere e integrare il loro stare nel mondo.

Nel famoso manuale per genitori che nessuno di noi ha ricevuto, potremmo scrivere il metodo dei genitori di Glauco: “Avevo capito una cosa: che sua madre e suo padre non volevano aggiustargli il mondo intorno, no, volevano solo insegnargli un pochino come muoversi nel mondo. E volevano che noi ragazzi dessimo una mano”.

Di chi è la voce narrante di cui abbiamo appena letto un pensiero? È di Bea, è lei la protagonista. Bea è la prima della classe, così come Glauco è il ragazzo con l’insegnante di sostegno. Bea si nasconde sempre, Glauco si mette sempre in evidenza. Possiamo considerare questa coppia di amici come unico personaggio che attraverso due opposti si delinea e completa. Oppure seguiamo la storia dallo sguardo e dalle parole di Bea, è lei la protagonista, l’eroina che si mette in viaggio.

Glauco gravitandole attorno innesca e fa detonare il territorio fisico e psichico entro cui Bea è chiamata ad agire. Glauco è il mentore più diversamente abile che si sia mai visto da queste parti. E porta a compimento la sua missione: aiutare Bea a uscire dalla gabbia, farla muovere nel mondo, aiutarla a crescere e fiorire. Non si muove Bea, spesso, perché corre dietro a Glauco che va oltre i confini del regno conosciuto?

Il giovane Holden dice: “Mi fanno impazzire i libri che quando hai finito di leggerli vorresti che l’autore fosse il tuo miglior amico, per telefonargli ogni volta che ti va.”

Eh, sarebbe bello.

Ho chiamato al telefono Antonio per chiedergli se le cose stanno così e lui mi ha risposto cose tipo “Ah… uhm… interessante…” Nient’altro. Dunque andiamo avanti a tentoni a raccogliere sassi come Pollicino, alla fioca luce del lumino.

I genitori, già s’è detto. Ma non ci sono solo quelli di Glauco, a loro fanno specchio i genitori di Bea, che sono l’opposto. La pressione che questi ultimi posano su Bea è inversamente proporzionale a quella che i genitori di Glauco posano su di lui. Dunque, una coppia genitoriale accetta il figlio per quello che è e lo libera nel mondo, l’altra coppia non si accontenta mai, spegne, riduce, spezza il cuore. Quale dei figli è in gabbia?

La dinamica del genitore che si misura con l’ideale del figlio perfetto, e con la realtà del figlio “imperfetto”, mi ha ricordato “Il Nido”, di Kenneth Oppel. Per tutti i genitori mi pare la prova centrale per eccellenza.

Dunque se invece di guardare i due protagonisti del romanzo, guardiamo i loro genitori e cosa proiettano sui figli, l’uno è perfetto agli occhi dei genitori, l’altra è imperfetta e deve guadagnarsi la perfezione.

Ho trovato interessante che questo aspetto dei genitori di Bea emerga molto in là nella storia, per buona parte del romanzo noi vediamo i suoi genitori nella loro veste amorevole. Poi, qualcosa si deforma, come una fotografia che si arriccia al calore del fuoco e va avanti a bruciare dai bordi.

Questi genitori, a loro modo ciechi alla sensibilità di Bea, mi hanno ricordato i genitori di “Coraline” nel romanzo di Neil Gaiman: l’Altra Madre e l’Altro Padre, ombre dei genitori veri, con bottoni cuciti sugli occhi. Così l’altra casa nella casa, che nel romanzo “Sei fuori” specchia la casa di Bea con la madre amorevole all’inizio e “cieca” più avanti, e poi la specchia nella casa diroccata nel bosco, con le figure che la abitano: la “Casa Pelledoca” l’ho chiamata.

La casa stregata nel bosco, i ragazzi che si allontanano senza essere trattenuti dai genitori, hanno molto di Hansel e Gretel. Il fantastico, l’horror, le prove da affrontare da soli per diventare grandi.

Dunque, tanti sono i piani entro cui la narrazione si sviluppa, diversi i rispecchiamenti, i punti di vista da cui si può entrare e uscire, guardare attraverso e in obliquo. Per un viaggio che non si conclude nella prima e nella seconda lettura, nel dialogo con l’autore, nelle tracce del reale che vediamo all’intorno.

Nel chiederci, ma noi, in questa storia, dove siamo?

*

Sei fuori”, Antonio Ferrara, Pelledoca editore

*

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