La fantastica signora Maisel

“La fantastica signora Maisel” su Prime serie Tv è uno spasso, se n’è parlato ovunque nel web ed è il motivo per cui l’ho guardata anch’io.

Stamattina sorridevo pensando a un particolare della sceneggiatura: ai figli della signora Maisel, due frugoletti in tenerissima età, i minuscoli che esistono ma non compaiono quasi mai nella vita dei genitori e di chi ne fa le veci. E chi ne fa le veci? ci si chiede di sovente. Nessuno pare. Ha più funzione-personaggio il telefono di casa.

Il bimbo in genere è davanti alla tv, altrimenti non si sa dove sia e soprattutto non importa a nessuno. La bimba in genere è nella carrozzina, una bella carrozzina blu dalle ruote alte, tipica degli anni del novecento. La carrozzina è per la bimba come il pane per il wurstel: la bimba è il wurstel, sta lì in mezzo, da qualche parte inglobata. Nei rari momenti in cui i figli son chiamati a comparire nel film, non intralciano nessun gesto quotidiano, nessuna organizzazione e tempistica. Sono come figurine di carta velina.

Questa cosa mi fa ridere tantissimo, è assolutamente inverosimile eppure bellissima.

Nella sua totale incoerenza è coerente con il progetto della sceneggiatura: i figli piccoli ci sono perché fan parte dell’assetto familiare, ma stanno sullo sfondo, come le ribaltine a scomparsa in cui nascondi le cose che non servono, le riapri solo se ne hai bisogno. Fenomenale.

La presenza dei bambini relegata nell’angolo cieco della casa è un inatteso ribaltamento degli stereotipi, o meglio, non è uno stereotipo che i figli piccoli assorbano la vita di chi li accudisce, dunque questa scelta narrativa è un deliberato ribaltamento della realtà. E la realtà si sa, ognuno la plasma da sé.

I personaggi sono d’accordo su quest’unico punto: cosa fare dei figli piccoli. Li rendono neutri, e questa è una linea d’azione precisa, qualcosa che viene mostrato e aleggia nel vano domande della serieTV come un pesciolino nella brocca dei pesci.

Questo spostamento delle energie, dello sguardo, dei valori, accentra la narrazione sul ruolo genitori-figli della generazione precedente, dunque madre e padre in realtà sono figlia e figlio dei nonni, moglie e marito, amanti, sorelle e fratelli, amiche e amici, giovani donne e uomini che pensano di avere sbagliato tutto nella vita e a tentoni ricominciano. Allo stesso tempo i nonni son presenti per lo più nel loro ruolo di genitori, poi di marito e moglie. In pratica perpetuano la dinamica di genitori di media età con figli adolescenti.

Dunque, i personaggi che rendono manifesti sullo schermo sono gli unici che nella realtà della serie non sono presenti: non ci sono genitori di media età lì dentro – genitori non nonni – non ci sono adolescenti.

Aggiungo che la sceneggiatrice della serie, Amy Sherman-Palladino, è la stessa di “Una mamma per amica”. E lì sì che c’è un genitore di media età con figlia adolescente.

La signora Maisel è l’eroina che si rimette in viaggio, che fa tutto per sé, che si toglie i tacchi a spillo e li usa per bucare il muro di gomma, che partecipa di ciò che c’è al di là. E non importa che di là ci siano stanze per soli uomini, è là che ha intenzione di andare ed è là che va. È quello il luogo che vuole abitare e, guarda un po’?, lo abita con la sua irriverenza dispiegata.

Trovo questo assetto fenomenale, affatto casuale, e a suo modo un fulcro possibile della narrazione: che succede se togliamo i figli piccoli di mezzo e mettiamo i personaggi in condizione di essere responsabili di crearsi una vita dal nuovo, senza scuse, senza impedimenti, senza stereotipi attaccati alle suole?

Che succede?

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pensieri dalla stagione 2

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