LA PESTE, Albert Camus

Questo libro mi ha sconvolto, per la sua accecante bellezza. In Bergamo 2020 credevo di sapere già tanto, sono entrata nel romanzo quasi a sorta di verifica, completezza di cronaca.

Quale Accecante Bellezza

Inaspettata, mi ha lasciato senza fiato.

Credo si possa ripetutamente scrivere e discutere di questo capolavoro, senza esaurirne mai la vastità e i punti di vista. L’ho comprato per leggerlo da capo, e da capo, e da capo.

Mi sono accorta solo ieri, dopo aver finito il libro, che la storia è collocata in uno spazio tempo preciso, nella città algerina di Orano negli anni 40 del ‘900. A ben vedere lo scrittore lo dichiara da subito, non so come sia potuto accadere che già dai primi capitoli io andassi dicendo che è uno scritto collocato in un tempo fuori dal tempo, un ipotetico futuro, in una cittadina altrettanto ipotetica e futura, una collocazione spazio temporale visionaria, quindi attualissima.

Ho perso traccia delle coordinate quasi da subito. Si è tramutata per me questa cittadina in una delle città invisibili di Calvino, tessuta come su fili d’argento e seppia, appesa isolata e compatta, una in se stessa, in una forma di mondo immaginaria.

Da subito mi ha sconvolto percepire lo scrittore come vivente sul mio stesso piano temporale, mi pareva fossimo nella stessa casa a guardare insieme fuori dalla finestra. Da un certo punto in avanti mi sentivo sola, come in una grande cucina bianca, appollaiata su uno sgabello di metallo, circondata da un biancore riflettente quasi accecante. Così tanta luce da non riuscire a vedere.

E’ particolare il punto di vista all’interno della storia, sdoppiato nel viverla dallo sguardo e dal sentire del protagonista, e raccontato dal narratore esterno con uno stile quasi neutro che riesce a lasciar traccia del vissuto. Racconta come su nastro con distanza di cronaca che permette di far passare l’accaduto nella sua oggettiva crudezza. E’ dal centro del pensiero filosofico che il narratore tesse le fila e lascia memoria. È questo pensiero che abbacina, per la sua inarrivabile bellezza.

Il pathos e l’emotività sono presenti ma vissuti e raccontati con un distacco che li rende eterni. Rimangono anche quando passa il momento, sono presi dal lato del trascendente che non si esaurisce mai: luce fredda ed eterna che risulta sempre chiara, trasparente.

I personaggi a quest’interno sono solo uomini, a ben guardare, tutto il racconto è passato per lo sguardo, il sentire, il vissuto maschile. Le donne sono marginali, non intessono il racconto, nell’oggettività della storia spesso sono lontane, rimaste chiuse fuori dalla città. L’uomo è lasciato solo in questo scenario complesso in cui, in realtà, tutto è equilibrato e il maschile si confronta spietatamente con il femminile. Ma se non ci sono donne dentro questa storia, – mi son chiesta – dov’è il femminile di cui si sente la piena presenza?

La Morte

La Peste

Le donne in carne sono marginalizzate nella narrazione perché c’è un femminile archetipo che salta dentro la scena e la riempie totalmente. L’aspetto ombra del femminile, l’altro da colei che porta la vita: colei che porta la morte. La Terrifica.

E’ la carta della Morte che guida e permea tutto il racconto, tra le più difficili da guardare. In mezzo alla scena danza sopra le ossa con rumore d’ossa. Scandalosa e scioccante. Il luccicante biancore delle ossa, lo sguardo inesorabile, l’avanzare e prendersi tutto, tutto. La Morte come presenza viva, non astratta. La Morte attraverso la sua agente sulla Terra, La Peste, è il femminile potente che si palesa nella vita di questi uomini. Con questo devono fare i conti. Nient’altro. Niente meno.

Inizia il racconto con un’epidemia di topi che sconvolge tanto quanto gli altri simboli: migliaia di topi emergono dal sottosuolo – e la morte non è? – per venire a morire alla luce. Così difficili da guardare e riconoscere, così simili a noi, precursori di quel nostro morire disordinato e disperato.

Allo stesso modo in cui si scappa davanti alla visione terrifica dei topi, così vien da scappare da La Morte. Mi ha molto ricordato questo immaginario la canzone “Samarcanda” di Vecchioni, l’apparire della Morte davanti all’uomo che preso dal panico scappa e scappa fino ad arrivare al luogo esatto dove la morte lo aspetta.

La messa in scena di questo grandioso racconto, così preciso nel raccontare le dinamiche di un vissuto di contagio racchiuso dentro una città sigillata, il ritrovare le esatte dinamiche, gli esatti accadimenti e racconti di quel che abbiamo vissuto, anche e soprattutto qui a Bergamo, i conti dei morti e le statistiche, il suono delle ambulanze incessante, i convogli di bare scortati dalla polizia di notte, tutto questo, il ripetersi esatto dello schema, mi ha sconvolto. Il modello si ripete sempre uguale a se stesso.

(…) Il vecchio aveva ragione, gli uomini erano sempre uguali. Ma in questo stavano la loro forza e la loro innocenza e in questo, al di là di qualunque dolore, Rieux si sentiva accomunato a loro. Fra le grida sempre più forti e sempre più estese che si ripercuotevano a lungo fino ai piedi della terrazza, mentre i fuochi multicolori si levavano più numerosi in cielo, Rieux decise allora di redigere il resoconto che qui si conclude, per non essere fra coloro che tacciono, per testimoniare a favore degli appestati, per lasciare almeno un ricordo dell’ingiustizia e delle violenze che erano state fatte loro, e per dire semplicemente quel che si impara dai flagelli, che ci sono negli uomini più cose da ammirare che cose da disprezzare.”

Mi rimane il pensiero, alla luce di covid 2020, che non c’è racconto passato ai posteri – nemmeno da una prima ondata a una seconda dello stesso anno – che possa servire all’umano quando davanti a La Peste, quale che sia la sua forma nel mondo, si evoca dentro di lui la cecità del terrore e della fuga, dello scappare lontano, andare via senza fermarsi a ragionare. Mettere in salvo se stesso.

E’ come se tutto questo racconto, così sovrapponibile al vissuto di oggi, portasse alla luce un intero archetipo che è proprio La Peste, l’epidemia. Quando questo emerge e davanti a questo, l’uomo è sempre al giorno zero.

Nell’epicentro dell’epidemia si distinguono, come nella reazione neurologica dell’attacco o fuga, quelli che scappano e quelli che restano. Quelli che restano, è mostrato molto bene in questo romanzo, restano al di là di qualunque senso che non sia quello della cura. La cura dell’umano nel momento più difficile della morte. Mettendosi a servizio de La Morte si avvicinano al nucleo pulsante della vita, indissolubile dal suo contrario.

Andare o restare

con il corpo e con lo sguardo

Occuparsi solo di sé o andare oltre il sé

E’ tutto qua

*

La peste”, Albert Camus, Bompiani

Meravigliosa video lezione di Alessandro Piperno per Salone Internazionale del libro: come leggere “La peste”.

Video Samarcanda, Roberto Vecchioni

Fiato ai libri, reading teatrale con Massimo Popolizio, La peste

2 pensieri riguardo “LA PESTE, Albert Camus

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