LA VOCE DI CARTA, Lodovica Cima

Non avere paura dei cambiamenti Marianna. Ci vuole animo e più coraggio. La vita va assaporata fino in fondo”.

Nato al mondo il 10 marzo 2020, la voce di carta è un viaggio, nel tempo e attraverso il tempo. In qualche modo mostra anche un metodo, per traversare tempi difficili, imparare ad ascoltare le voci dentro, – Ascolta chi sei – a trovare guida, speranza, luce nelle difficoltà. Una voce guida nel cammino che necessariamente deve essere interiore quando dentro al libro Marianna si trova sola con se stessa, e quando fuori dal libro noi ci troviamo invasi dalle voci di altri, news di ogni genere che ci fan perdere direzione, speranza.

Pare sincronico che la storia sia ambientata in Lombardia, che l’autrice sia lombarda e che a marzo 2020 la Lombardia fosse l’epicentro della pandemia nel mondo. “Ci vuole animo, e più coraggio”.

Dipanare le tracce di questo romanzo è impresa certosina, i piani son diversi e intrecciati con cura. Così il piano storico, la vita dei ragazzi e degli adulti intorno al 1870 nel nord Italia. Le prospettive e possibilità, il mondo in fermento e cambiamento, e tutta quella fatica… Tutta, quella, fatica.

Marianna si trova a dover lasciare la famiglia, improvvisamente e senza possibilità di scelta, per andare a lavorare in fabbrica. L’annuncio è dato con poche parole formali che ordinano, senza possibilità di contraddittorio, enfasi, commozione. Nulla. Asprezza della mancanza di parole di quel tempo, di quel luogo.

La madre di questa storia è un personaggio chiave per la sua assenza, la sua incapacità di parlare, la sua “non voce”. Si rigioca nella narrazione in uno spazio nuovo e profondo, ritorna voce, guida, presenza interna. Al di fuori del recinto asfittico della famiglia si ricrea un nuovo spazio dove le figure femminili ruotano attorno a Marianna, la rispecchiano da tutte le direzioni.

Una madre lontana che non ha voce. Una madre presente, interna, guida maieutica che attraverso il dialogo aiuta Marianna a conoscersi, a giungere alla sua verità, partorendo se stessa.

Zia Ada, figura mai vista ma brillante e forte, un immaginario di femminile da raggiungere, da ricordare per credere che la strada giri al di là di angoli e rotonde e piazze e paesi e strade, oltre le quali si può indirizzare la propria vita. Disegnare nuovi orizzonti.

Altre donne incontra Marianna, si prendono cura di lei, la amano, la guidano. Sono donne pratiche, non la sollevano, non si sostituiscono al suo crescere; con sguardi e piccole attenzioni le indicano possibilità, mostrano un ideale di donna che a quel tempo doveva guadagnarsi il diritto per le cose più semplici: leggere, scrivere, scegliersi un lavoro e un destino.

Le madri presenti esterne sono due: Suor Luigia e la Contessa. Non è dato sapere di che colore sia la veste di Suor Luigia, visti i tempi probabilmente non chiara, eppure l’ho immaginata tutto il tempo vestita di bianco, portatrice di chiaro, così come la Contessa col suo abito bianco e tutto il bianco nominato all’interno del romanzo. Il colore più citato in assoluto è il bianco. Dove c’è bianco c’è carta, parole, speranza, vita. Luce.

Bianco è uno spazio vuoto da riempire di sogni.

In questa storia il femminile in crescita viene proposto per ciò che è: una carta bianca, un punto di fragilità e candore. Se c’è una cosa in cui questa ragazza è avvantaggiata rispetto alle ragazze di oggi, è che può partire da zero, dalle sue insicurezze e fragilità. La donna forte, eroina, le viene presentata in lontananza, addirittura un modello da non imitare. Le serve da ispirazione, non da imposizione. La via della ribellione è una scelta, per cui bisogna farsi ossa e muscoli, interiori anche. Diventare forti, non esserlo a priori. Darsi il tempo di crescere e imparare.

In questo romanzo ogni parola è dosata: parole senza voce, parole in divenire, parole che non ha senso dire, parole che ha senso ascoltare, parole da imparare, leggere, sillabare, parole da collegare. Parole da usare per farsi varco nel mondo, per far sentire la propria voce. Dire e fare.

La voce di carta” è anche la voce del libro che parla con noi. Una voce che si pone in dialogo con noi lettori, una voce che chiama a trovare qualcosa di noi in questo racconto. Scendendo giù per le memorie non è difficile, sentire le radici, i luoghi da cui veniamo, affondare le mani negli stracci della fabbrica e vederli trasformati in polpa, poi in fogli appesi ad asciugare, poi pronti da consegnare e utilizzare. Sentire il suono del pennino che gratta, la fatica quando la mano impara a tracciare i segni, l’inchiostro che cola e macchia. Le lettere, le parole, le frasi scritte piano e ripetute perché belle.

Un fermare il tempo, ricordare che tutto si fa nel silenzio e nella quiete, che il libro è carta e parole e storie e sogni e corpo, e mani che lo hanno immaginato e tessuto. E voce, voce di uomo e voce di carta.

Quanto tempo siamo disposti a dedicare a ogni singolo libro, a ogni singola storia?

Marianna si prende il suo tempo, così la sua voce interna la guida a conoscere se stessa, a farsi domande, a dubitare di sé, imparare a conoscersi. Sapere di non sapere, interrogare il presente, saper dialogare con se stessi, sapersi fare le domande giuste a partire da ciò che siamo nella vita che viviamo. Questo compie Marianna ascoltando la sua voce interna. E non è questo, forse, il dialogo Socratico?

Conoscere se stessi è la grande questione della filosofia. Marianna impara a conoscersi, ascoltando dentro e fuori di sé. Impara a darsi il tempo per osservare e riflettere, per agire coraggiosamente quando la vita le offre opportunità, impara a far sentire la sua voce quando è il momento di farlo.

Impara a conoscere il suo desiderio, a perseguire i suoi obiettivi.

A rischiare,

e realizzare se stessa.

*

La voce di carta”, Lodovica Cima, Mondadori

Una bellissima, emozionata ed emozionante intervista on line su “La voce di carta” con Lodovica Cima e Daniela Girfatti della libreria Read Red Road, Roma.

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