Quando scrivo di un libro che mi è parso bellissimo mi dico che devo scriverne una recensione bellissima, altrimenti è inutile scomodare le parole,
ma
con il nuovo anno mi dico che se un libro è bellissimo non ha bisogno che d’essere indicato, e letto a crudo, senza anticipi, suggestioni altre.
(Mi sto incartando)
Mi trovo come il protagonista a guardare la montagna, dal basso in su, mi dico che non ce la posso fare. ( Respira con me )
Trovo che questo racconto sia rappresentato, e racchiuso splendidamente, dalla copertina. Mi pare essa stessa recensione, racconto fedele di quel che c’è all’interno. I colori, sono esattamente quelli: il buio, la parete rocciosa preponderante, aspra, ripida, ineluttabile, severa, punteggiata di luce qui e là. Lo scorcio di cielo e immensità, le mani che si poggiano, potrebbero essere le mie qui e ora, in attesa di…
Pelledoca
Esco da questo racconto con la percezione di averne annusato la superficie, camminando lieve, facendo solo un giro di prova. Rimpiango di essere avida lettrice e di andare sempre avanti saltando tra un libro e l’altro. Questo racconto, come altri, meriterebbe più spazio di quanto ne prende una lettura serrata. Tempi lunghi, spazi distesi, come quando si sale in montagna e si cammina piano, ci si ferma, si riposa, si morde il terreno un passo alla volta.
Come dovessi rovesciare il libro, scuoterlo e lasciare cadere e distendere tante sfumature, lettere, parole, lasciarle aprire, vederle bene, ascoltarle dentro e fuori. Con calma.
La scrittura è sapiente, affilata, precisa, anche severa. Mano salda che accompagna con fermezza e non ti molla, ti piaccia o meno. Un tratto e un passo che sa essere aspro e tenere il ritmo per tutto il viaggio, né lungo né corto, ogni passo necessario a se stesso, senza sprechi, sbandamenti, uscite di strada.
C’è un allinearsi inusuale, ma bello, bello, dei tempi narrativi, conseguenti ma distanti. Una vertigine tra un rigo e l’altro: lì il preciso orlo dell’emozione.
C’è il dolore del mondo quando ti morde da dentro e ti scava, come un baratro in cui ripararsi ma anche cadere, sparire alla vita. Oppure aggrapparsi e resistere, trovare la via del ritorno, salvarsi e salvare.
C’è vita e c’è morte. C’è essere e non essere. Voce e silenzio, caos e quiete. Passato e presente. C’è un’ipotesi di futuro e la scelta di volerlo abitare, oppure, no.
Dentro tanta asprezza risuonano memorie, vivide, salvifiche. Sono come il colore – tenue, tenue – in tanto scuro, e il calore, che ammorbidisce il dolore.
Quanto c’è dentro questo racconto?
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Grazie
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“Respira con me”, Raffaella Romagnolo, Pelledoca editore
Di Raffaella Romagnolo ho letto Destino e non mi ha convinto del tutto
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per il momento ho letto solo questo, proverò, grazie
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