Spesso quel che scrivo di un libro è l’ immagine che mi si è accesa leggendolo. E’ qualcosa di fisico, un’impronta multisensoriale che ricorderò per sempre, sarà viva sempre quando penserò a quel racconto.
“Mia” è la storia di un femminicidio, narrata in maniera unica, personale, trasversale, da Antonio Ferrara. Non è venuto su per caso questo libro, non è una storia nata a tavolino, non è… tante cose. E’ poco utile parlarne direttamente perché è molto breve, già si sa che parla di femminicidio, metti altri due dati e hai detto tutto. No?
No
A volte i libri mi rapiscono già dall’aspetto esteriore, dal tatto della copertina, della carta, dalla luminosità del dentro e del fuori. C’è qualcosa nel progetto grafico di “Mia” che mi ha trafitto al cuore, come inchiodandomi. Conoscevo la storia di Mia, ma non vi avevo ancora appoggiato occhi e mani. Quando l’ho fatto, le prime pagine, quelle che guardo sempre con attenzione, le parole e lo stagliarsi della dedica su foglio bianco, mi han dato subito l’impressione del bianco marmoreo, lo stagliarsi dello scritto, il monito, la memoria, il ricordo, severo, come su lapidi.
Entrando nel racconto mi son meravigliata, come e più di sempre, di quanto questo sia pulito, tirato oltre il bianco lucido dell’osso, brevissimo, accecante. Sapevo dell’enorme lavoro di scrittura per emozioni con adolescenti confluito in questo romanzo. Così come sapevo quanto questo scritto fosse necessario e voluto dalla famiglia di Antonio.
Vedermelo lì, così chiaro, pulito, emerso snello dall’enormità di materiale in cui riposava, mi ha connesso con l’immagine di un uomo che lavora il legno. Da qualche parte, in questa rete di sogni da cui si generano i racconti, sta lavorando un legno con la pialla. In silenzio, ancora lo vedo, fa passare la pialla sul legno, lo liscia, libera i trucioli, avanti e indietro, ne sento il suono. Il suono della pialla, il suono del silenzio, il suono della mano che passa sul legno e liscia.
Un’immensità di trucioli, per portare fuori la forma. Passa la pialla e produce una tale quantità di trucioli che sento, poi, di tenerli in mano, come fossero stati usati per comporre i fogli su cui è stampato “Mia”. Su quei fogli è stampata la storia, così come nella stanza, dai trucioli emerge la forma.
A un certo punto l’ho pure capita quella forma, così lunga, così squadrata. Ma soprattutto, così infinita. Come non finisse mai.
Non finiscono mai questi femminicidi. Non c’è giorno che la pialla possa fermarsi dal mettere a nudo quella bara in cui viene sepolta ogni donna morta ammazzata. E’ una bara eterna, un lavoro in divenire. Non basta mai.
Non finisce mai.
*
Ho letto “Mia” e scritto queste righe in ricordo e nel rispetto di Elisa Pomarelli, una giovane donna che nei giorni passati è stata uccisa da un uomo. Di lei, anche questa volta, non è stata raccontata l’ingiustizia della vita oltraggiata e rubata. I suoi occhi spenti al mondo con dolore.
*
“Mia”, Antonio Ferrara, Settenove editore
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Devo trovare la forza di leggerlo. Grazie
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sì, bisogna proprio trovare la forza
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