BUNKER DIARY, Kevin Brooks, covid Bergamo

Il 29 febbraio 2020, quando a Bergamo eravamo già in quarantena ma ancora non avevamo capito cosa sarebbe accaduto nel giro di dieci giorni, avevo ancora lo spirito per ragionare sugli avvenimenti. Scrissi questo, ispirata dal Bunker diary di Kevin Brooks per dare un senso e una narrazione a quel che sentivo accadere dentro e fuori di me:

E’ come se il nostro dirci continuamente che la società si è smaterializzata dal punto di vista del contatto, del vedersi, parlarsi a voce, toccarsi, incontrarsi, abbia creato una forte energia che ha materializzato in tal senso una forza.

Questa forza ha raggiunto un tal livello soglia, REALE, che a un certo punto ha tirato tutto dentro, si è aperta una falla nelle superficie del mondo concreto – ché, reali lo son tutti e due – e tutto è scivolato sotto, si è ribaltato come un calzino.

BUM! SBATABAM!

Improvvisamente siam precipitati nel mondo di sotto, a toccarlo veramente con mano, il mondo dove non incontriamo e non tocchiamo gli altri con i sensi fisici. Tutta la rete di relazioni sociali, il tesoro della convivialità, la bellezza dell’andare verso e incontro, del condividere in maniera concreta, è andato in off.

Le relazioni lavorative, per alcune categorie, sono precipitate interamente annullando l’attività nel mondo di sopra.

Così facendo e come non mai, abbiamo modo di percepire con precisione e forza quanto noi e le nostre vite siam tessuti nella piazza concreta delle panchine e dei fiori all’angolo, dei musei dei cinema delle scuole delle metropolitane, finanche dello spaccio, che so… di quanto abbiamo bisogno di esserci in corpo e materia, sguardo nello sguardo.

A dispetto di quanto si dice. Abbiamo bisogno di tutti i mondi, siamo parte integrante di un’infinità di mondi.

Certo è che i piedi li posiamo in questo materiale, e se le radici non son ben radicate quando il mondo si capovolge precipitiamo con esse. Non ribaltiamo la prospettiva, caschiamo giù come sacchi sbattendo sul testone.

Questo mondo di relazione concreta, messa in scacco, la percepiamo nostra e indispensabile come non mai. E’ sparita, quindi dalla mancanza finalmente la vediamo, la sentiamo come arto fantasma, ecco lì dove si muove tanta parte della nostra vita.

Siamo caduti nel videogioco, che è un altro aspetto del videogioco di sopra, ed è l’unica parte che tiene in questo momento e da cui possiamo muoverci andando oltre i muri. E’ buona cosa questa, anche della piazza virtuale possiamo vedere e imparare a utilizzare gli aspetti di forza.

In tutto ciò, con il mondo del nostro muoverci lavorare e condividere sparito, si esalta all’interno del circolo familiare la possibilità di esserci, ché, a forza di essere dappertutto eravamo ospiti pure lì. Qui e ora, con la nostra famiglia, si riparte dal nucleo.

Ce ne sarebbe così tanto da vedere e raccontare…

IL CONTATTO, è la parola chiave, messa in isolamento e anche in fermento, in ricerca di diversa possibilità, non senza prima averlo ben guardato allo specchio.

Nel precipitarsi del mondo nel mondo la risposta è stata animale: il cibo prima di tutto, da portarsi nel bunker.

*

Bisognerebbe fare un giro in un vero bunker per percepire quanto siamo ancora nell’area del meraviglioso

Bunker diary, Kevin Brooks, PICKWICK

*

Non riuscii a leggere libri nuovi per tutto il tempo della quarantena, non avevo forze e risorse per lasciare il mio mondo e abbandonarmi a un altro, ero uno in stato di allerta totale, attacco e fuga. Ripresi a leggere quando fummo fuori dal tunnel e la mia scelta cadde su una rilettura di Kevin Brooks: Lucas. Sapevo cosa mi aspettava, proprio di quello avevo bisogno. Il 12 giugno scrissi questo:

Bunker Diary è il libro che mi è rimbalzato dalle memorie quando mi serviva un medium per descrivere il mio sentire di inizio quarantena. Quanto ho scritto nel post sopra non è la recensione di Bunker Diary, quanto il collegamento tra la mia vita nel mondo in quel momento e la suggestione che attraverso lo strumento di quella storia riuscivo a trasportare su carta.

Come tanti forti lettori non son riuscita a leggere storie nuove durante la quarantena, ma, seguendo quel limite ho scoperto nuove risorse di lettura e ne sono uscita diversa e più ricca, più larga direi. Quel largo interiore che se anche perderò i chili presi mi rimarrà espanso dentro, non si restringerà.

Ora mi si è riacceso il desiderio di lettura, di immersione totalizzante in mondi altri, e stranamente il mio desiderio mi riporta a leggere, con più lentezza e maggior immersione, un altro libro di Kevin Brooks, straordinario: Lucas

Di Lucas mi rimase il desiderio di rientrarci con calma, c’è una tale immensità di sensazioni, piani, colori, emozioni, dentro lì, una struggente narrativa, che una sola lettura forse non coglie. A me si è aperto ciò che non ho letto e non ho colto, come un appuntamento a tornare dentro quei paesaggi.

Ma soprattutto, da che lo lessi, mi basta ricordare il titolo perché mi si aprano dentro i paesaggi, gli sguardi intensi, il cielo immenso, il vento caldo, i colori del bosco, e quell’anima lì dipinta così pregna e sfuggente. Una densità di emozioni, di colori, di sensazioni, indescrivibile.

Ieri pensavo ai colori e alle emozioni dei due libri, al fatto che nella mia storia si posizionano a inizio quarantena e a uscita quarantena. Mi colpisce la durezza di Bunker Diary, la densità, il colore cupo e il tatto dell’acciaio, del cemento, del luogo chiuso e senza respiro, senza nulla di naturale e nessun flusso che scorre dentro lì. L’odore della morte. Così come mi colpisce la prepotenza di vita manifesta e oltre il manifesto che Lucas TRASUDA. L’odore della vita.

Come se tutto ciò che di vitale è stato tolto in Bunker Diary per dipingere quel quadro indefinibile – leggere per capire – sia sparato fuori come un espiro trattenuto oltre misura, col bisogno di enorme respiro vitale alla fine di esso.

Lucas

Sbocciato alla vita.

Come Persefone che riemerge dall’ oltretomba e fa rifiorire la terra al suo passaggio

*

” (…) una camminata che sussurrava segreti all’aria “.

Lucas“, Kevin Brooks, Piemme

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