AFFABULARE, il racconto del raccontare, Bergamo giugno 2020

” Di questo impasto umano son fatte le storie, di questo impasto di storie è fatto l’umano “

Ho partecipato l’altra sera al racconto di Candelaria, a casa di Emy e famiglia questa volta, la terza per me. Ogni volta è stupore per quanto sembri la prima. Viva di nuova linfa.

In questi tempi in cui scrivere con senso, misura, cornice e contesto, mi risulta impresa titanica, non riesco a levarmi dei pensieri che bussano continuamente per essere scritti, foss’anche senza misura cornice e contesto. Li poggerò dunque, come refoli di vento raccolti e attaccati al foglio, con un poco di scotch, una puntina, una goccia di miele.

Nel guazzabuglio di sentimenti disorganizzati che mi giravano per la testa oggi, uno su tutti ha preso senso e parola, apertura del racconto: ” Non ci son state grida “.

Non ci son state grida.

Niente remore, rimpianti, niente accuse, niente recriminazioni, no rabbie non violenza niente di niente, niente di quanto ascoltiamo da mesi. Come si dovesse urlare sempre, “qualunque cosa si faccia “.

Mi ha stupito nel suo manifestarsi, questo aspetto. Sottile, imprendibile direi, tanto che ho impiegato due giorni per metterlo a fuoco. In questo tempo siamo così abituati a recriminare e gridare, che l’assenza di ciò è stupore, sollievo direi, benessere immediato.

Niente grida. Solo serenità, gioia del ritrovarsi, abbracciarsi dopo mesi, sorridersi anche sotto la mascherina, mangiare insieme, godere dell’ospitalità di amici mai conosciuti prima. Il dono dello stare insieme, riallacciare fili che erano stati interrotti, fili che possono al tempo opportuno essere riannodati, semplicemente.

Ha tanti aspetti questa storia che Candelaria racconta, in tutte le forme in cui manifesta questo spettacolo, nato per essere narrato di focolare in focolare, in case private e cortili, su inviti, iniziative personali, desideri di amici che si riuniscono con amici.

Di speciale ha che Candelaria è Cantadora, figlia di Cantadora e poeti. Di speciale ha che le storie che narra agganciano alle storie del tempo dei tempi, come è giusto che sia, e traversano la sua propria vita: storia di famiglia argentina fuggita dalla dittatura e riparata in Svezia, storia di Candelaria che si trasferisce a Bergamo e vive in questa città animandola, tessendo fili nei fili della città e delle relazioni, portando narrazioni, storie, incanti, mani tese. Focolari ovunque -focolari di luce e fuoco che scalda, avvicina le anime-

Affabulare, prima del covid, durante il covid, dopo il covid.

Affabulare con uno spettacolo, affabulare con le narrazioni che arrivano via vocale nel tempo della quarantena, affabulare per tenersi ritti nella tempesta, affabulare curandosi di chi sta male, di chi ha bisogno di farmaci, spese a casa, affabulare portando mascherine di porta in porta, affabulare facendosi strumento del raccontare, in tutte le forme possibili, anche quelle che impastano pane, tutto quel che serve, un gesto si travasa nell’altro, sempre raccontando e ascoltando. Non c’è separazione tra il dire e il fare, l’essere e il narrare.

Il patrimonio di storie narrato nelle storie di affabulare, il patrimonio di vita e viaggio dell’ essere famiglia di esiliati, in fuga, portandosi dietro solo i racconti e le poesie tessute nel corpo, il patrimonio del sapere ricominciare, chiedere aiuto dare aiuto, è questo il contenitore che tiene insieme tutto. E’ un contenitore immaginifico, così forte e resistente, antico della notte dei tempi, allo stesso tempo fluido invisibile impalpabile, lo puoi ripiegare stretto stretto e nasconderlo tra un muscolo e una costola, in quell’apertura dove si racconta si rigeneri la vita. Te lo porti dietro anche in esilio, traversando il mondo. Lo tieni in salvo in tutte le quarantene del mondo, lo riapri dolcemente all’ora dei vespri, quando il mondo stabilizza il suo rollìo.

E quando lo riapri non è mai per te sola, è un riaprire comunità. Comunità che sceglie di narrare a sua volta, di essere comunità narrante. Sceglie di invitare cantastorie perché riportino in vita il tessuto della storia, fluido, vitale, luminescente, intransigente. Quando apri una storia, non puoi far finta di non averla vista.

Ecco quindi la luminescenza dei padroni di casa che invitano, ospitano, chiamano amici, apparecchiano, accolgono, offrono sorrisi sguardi e vicinanza. Ma che meraviglia è, che meraviglia è mai questa?

Il tessuto narrativo è dispiegato tra una sedia e una tavola, un calderone, una borsa poggiata all’angolo e una candela, una Cantadora e tanti ascoltatori che a loro volta a fine spettacolo si trovano a narrare, raccontare, scoprire che uniti siamo umani, accoglienti, nutrienti, forti di forza infinita e ricchi di mille storie.

Mi ha molto colpito rileggere “ Se questo è un uomo “ di Primo Levi, libro che in assoluto dispiega l’orrore del lagher e della perdita di umanità di ogni prigioniero, disposto a rubare il pane all’altro sapendo che ne può andare della vita dell’altro. Niente di più prezioso del pezzo di pane, per cui si rischia la vita propria e altrui. Eppure… racconta di un cantastorie che veniva invitato nelle baracche la sera, a raccontare storie, pagato in misure di pane. Le storie, nella scala del nutrimento e davanti alla morte, sono più importanti del pane di vita. Perché nutrono lo Spirito, che tiene in vita il corpo, e non si disperdono mai. Tornano alla terra e da questa continuamente si rigenerano, in tutti i tempi, in tutte le storie del mondo. Le senti sotto i piedi scalzi, nei boschi, ovunque sia terra.

Di questo abbiamo bisogno, sempre. Di questo abbiamo bisogno in questa città. Così profondamente ferita, snervata, impoverita.

*

Veramente grata di aver goduto di questa luce dolce e affettuosa, della comunità narrante che si è donata donando, in un continuum senza fine.

Gratissima di aver ricevuto le cure e il nutrimento degli squisiti padroni di casa,

non dimenticherò mai

GRAZIE

*

Affabulare – il racconto del raccontare riprende a girare in case private, cortili e luoghi all’aperto. Possibile prenotare scrivendo a canderome@gmail.com

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