Ho ordinato questo libro in biblioteca tra una girandola d’altri. Non prendeva mai sopravvento su altre letture, ma ogni volta che provavo a restituirlo lo scheletrino in copertina mi ammiccava, non riuscivo a darlo via. Alla fine l’ho letto. Caspita!
Una bella storia, interessante, sussurrante. Mi pareva uno di quei libri piacevoli che una volta conclusi poso, senza dover farci sopra tanti ricamini… Invece, finito nella notte, appena chiusi gli occhi tutto ha cominciato a danzare, e ho visto, da quel fondo, un intreccio che aveva la sua da raccontare. Come nella copertina, lo scheletro era lì che ammiccava e mi chiamava, mi indicava la trama. Mica facile far finta che no. -Va bene, – gli ho risposto – ci pensiamo domani.
Spesso i libri m’intrigano perché mi fan saltare dentro e fuori da varie dimensioni, in alcuni è come cadere, scendere in profondità, risalire, o uscire da un’altra parte. Altri, han fanfare in copertina e sala stampa, poi ci entri, ti guardi intorno e vedi uno stanzone vuoto con pareti in cartongesso, non c’è dentro nulla, è tutta copertina. Altri ti accompagnano sulla superficie del mondo conosciuto, senza farti cambiare dimensioni, ma veleggiare dentro giornate dove l’arcobaleno traversa tutto il raggio visivo ed emotivo, ed è iridescenza. Viaggio nelle meraviglie della terra.
Questo libro non mi aveva fatto viaggiare in altre dimensioni, non mi aveva portato in profondità, dove mi aspetto di incontrare la morte. La sua cifra sorprendente e incredibile è che prende ciò che di più profondo terrifico e misterioso c’è, – La Morte – e la fa spuntare, da sotto in su, portandola nel nostro mondo, nella nostra dimensione. Questa morte è persino tenera, bianca, ritmata, ammiccante, danzante, delicata. Quotidiana.
La si guarda, venire al mondo, giorno a giorno. La Morte che viene al mondo.
E’ la Morte che si è messa in viaggio verso di noi.
BUM!
Noi occidentali siamo spesso orfani di storie e riti per la morte. Non la sappiamo nominare, (se n’è andato, è scomparso, è venuto a mancare) non ne sappiamo destreggiare alcuna forma, officiare riti, andare-a-braccetto-con, tantomeno la sappiamo guardare in faccia. La guardiamo solo se ci tocca, possibilmente ad occhi chiusi.
“L’albero delle ossa” ci porta a conoscere e riconoscere la morte. Lei pare venirci a trovare per insegnarci a guardarla e comprenderla, – capirla, includerla – ascoltare il suo antico senso. Ascoltare il suono delle ossa, una sull’altra: – clang clang.
Possiamo imparare a lasciare che ci sia guida, conforto, oltre che prova e destino. E osservare il suo antichissimo lavoro… che sorpresa…
Ma! La figura più straordinaria di tutte, a mio sentire, in questa storia è quella che pare starsene ai margini: Tata Francine. Arrivata chissà quando e chissà dove dal Kirghizistan, l’anziana signora abbraccia tutto nel suo maglione peloso e avvolge di racconti e biscotti l’atmosfera di casa; conosce il muoversi del tempo, delle stagioni, delle “cose” che spuntano dal terreno. V’è da star certi, le cose spuntano dal terreno solo dopo che lei è arrivata nei dintorni.
E’ la Loba di “Donne che corrono coi lupi”, La Vecchia, La Baba Yaga, La Que Sabé, Colei che sa. La Loba è “colei che canta sulle ossa dopo averle ritrovate”, lei le fa tornare a nuova vita. Lei accompagna i vivi e i morti nel viaggio della Vita-Morte-Vita.
Quanta dolcezza, quanta comprensione di tutto ciò che è necessario.
Leggendo questo libro ho assistito al viaggio straordinario della vita, della morte, in una prospettiva nuova e bella, tenera e forte. Credo questa possa essere, oltre che una piacevolissima lettura, una possibilità preziosa di rimpolpare le nostre scarse conoscenze delle ossa della morte, che han così tanto da raccontare,
e dalle quali nasce sempre,
tempo al tempo,
Nuova Vita
… Leggetelo…
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Clang clang
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L’albero delle ossa, Kim Ventrella, Il Castoro Editore
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