Ieri sera abbiam rivisto “Parole in trincea”, di Luna e Gnac Teatro. Forte e bello, nudo e crudo. Mi ha molto, molto impressionato l’essere vicinissima agli attori: la sala era piccola, ero in prima fila a pochissima distanza e sullo stesso piano della rappresentazione.
La sensazione netta e fortissima era di essere dentro lo spettacolo, quindi dentro la storia, dentro le memorie. Come essere senza pelle, senza distanze, senza qualcosa che si frapponga fra qui e lì, e protegga. Cuore esposto.
A un certo punto, osservando come lo spettacolo abbia dovuto adattarsi a un ambiente piccolo, ne ho rivisto la grandezza. Ho visto la struttura invisibile su cui tutto è costruito, il dietro le quinte, la regia. Come in una visione mi pareva di percepire linee, fili tirati che indicavano spazi, direzioni, percorsi tracciati e traccianti che i corpi narranti hanno acquisito come memorie entro cui muoversi, con precisione e sicurezza, allargando o stringendo. Sempre mantenendo armonia, proporzione, direzione.
Uno spettacolo grande, ben strutturato, che sa inspirare ed espirare, allargarsi e stringersi, mantenendo ritmo, luce, e ampio respiro. Non facile, e bellissimo.
Un grande grande spettacolo, costruito col preciso intento di riportare vive le memorie, perché queste vivano. Servano ad orientare il nostro presente, a scegliere memorie diverse per il futuro.
“Parole in trincea”, Luna e Gnac Teatro, regia Carmen Pellegrinelli
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